Genga - Guida Turistica

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Il Castello di PierosaraIl Castello di Pierosara
 E' un castello celebre, già illustre per la sua storia, non ha mai cessato di essere popolare per la sua costruzione e la collocazione sopraelevata da cui guadagna la vista di un panorama straordinario. Dall 'osservatorio privilegiato del luogo, che coincide con la torre di comando dell'antico Castellum Petrosum, la vista si appaga di orizzonti definiti dalla chiostra dei monti ma con una diversità scenica, unica su tutta la municipalità e in grado di convalidare un epigramma pindarico secondo il quale chi non visita Pierosara deve fare, poi, "il censimento delle occasioni perdute". Anche il nome sembra compiacersi con la successione degli avvenimenti. La iniziale parola castellum scompare gradualmente lungo il corso del XII secolo cedendo il posto al termine più qualificante di castrum. Feudo dell'Abbazia di San Vittore, nel 1298, Castel Petroso, da oltre un secolo ormai titolato Castello di Pierosara, venne ceduto al Comune di Fabriano. La vendita, sollecitata da onerose contingenze economiche del monastero, fu realizzata per la equivalente somma di "625 fiorini d'oro corrispettivi alla somma di conto di mille libbre ravennati e ancone tane". Rimane così un appodio di Fabriano, con un proprio statuto e governato da quattro capi denominati "Capoquattro". Successivamente, diviene appodio di Genga. Il tessuto edilizio del Castello con le sue vie, le case, gli orti, il palatium, la torre, le mura, il borgo, conservano pressochè inalterati i caratteri coevi dell'epoca (sec. X-XI). La Torre è la edificazione che serba in tutto il paesaggio il segno e la forza inesauribile dell'era antica. "A pianta quadrata, è realizzata in conci squadrati ben rifiniti. Da tempo cimata, era munita, secondo le testimonianze di un abitante del luogo, di alcuni merli residui dell'antico coronamento, fino ad alcune decine di anni or sono. L'unico ingresso della torre è situato sul lato volto a settentrione, ad un dislivello di circa sei, sette metri dal suolo. Si accedeva in questa stretta postierla per il tramite di una scala a pioli da ritrarre in caso di pericolo. Attualmente la torre non supera una quindicina di metri, ma è verosimile che fosse molto più alta. Sul lato ovest della base è ubicata una feritoia, di incerto uso. Relativamente alla sua datazione, questa sembra ascrivibile ai secc.X-XI. Anche la porta romana (ianua castri) è coeva allo stesso periodo". D'intorno, nel paesaggio contermine, nella parte più apnea cresce la vite, così descritta nel sapiente riassunto di un cronista del tempo: "L'industria e la diligenza per la piantagione delle viti salta subito agli occhi di chi pone piede in questo distretto... Ma questa stessa diligente coltivazione chiaramente manifesta il loro trasporto a quel buon liquore, che gli rallegra e fa loro obliare gli spersi sudori e le gravi fatiche della campagna". I segni della civiltà rurale si sono comunque in parte dissipati, la cultura georgica è meno sollecita, ma l'antico maniero si misura ancora con il proprio passato. Questo colle che ha "la temperatura di un vulcano" rende onore alle alte tradizioni sociali di questa gente singolare, dal cuore generoso e dal sangue bollente dove anche le supreme disarmonie, per effetto di flussi benefici, sono trasformate in virtù.
La Gola di Frasassi La Gola di Frasassi
 "Il Monte un de' più bassi, ed ultimi dell'Appennino, si divide in due quasi ad arte per dar 11 valico al Sentino, che per mezzo blandamente vi scorre. Si ergono con fasto le balze opposte, e coronate mostrano le altere cime di un forte verdore. Il masso è uniforme tutto da capo a piè di carbonato tinto di non rade striscie, o per le acque che vi grondano, o pè licheni, che dolcemente '1 pingono, o per qualche altro estraneo mineralizzatore, che lo cobra. Il piccol fiume tortuoso lambe la muscosa falda, ed a seconda dei variati giri fra i puntuti scogli si perde infin la remota distanza. Le ombre grandiose prolungate dalle vette, il lume, che arriva dalle rupi opposte, i forti riflessi rappresentano le magiche scene piacevoli nell'orrore". E' la Gola di Frasassi nella figurazione rappresentativa di un prosatore del 1809 "toccato al cuore" dalla sovrana bellezza del luogo. Un paesaggio di rocce calcaree piegate a strapiombo sulla strada che in sembianza di cicbopi simulano una aggressione al passante tremebondo. "Se per ventura lo Spettatore rivolga indietro lo sguardo curioso, dopo essersi alquanto internato fra queste balze, gli rassembra poco men che preclusa intieramente l'uscita: circondato si trova d'ogn'intorno, e racchiuso da ogni parte da que' machinosi macigni. Lungi però dall 'apportaglì affanno questa impreduta situazione, anzi il conforta che no', e piacer nuovo gli arreca". Il sovente e indebito ricorso a quella letteratura, l'abuso del riferimento, sono perpetrati per il piacevole gusto di un diletto estetico che legittima l'arbitrio e giustifica la parafrasi. Una superficie di 270 ha, quote diseguali per altimetria, con variazioni di dislivelli da m. 200 a quote di 730 m. Vegetazione dissimile, spontanea, endemica dell'area locale che sovverte, rarefatta, tutte le specie peculiari che allignano nell' area comunicante. Anche la natura ha umori variabili! L'alternanza della vita vegetativa vive la sua mutevolezza anche tra il versante idrografico destro e quello sinistro, molto più termofilo con specie della macchia mediterranea con cespugli non infrequenti di Laurus nobili, rarefatto nella regione. Grotta del Santuario, Grotta del mezzogiorno, Grotta bella, Buco del diavolo, preziosi scrigni ipogei dispersi d'intorno, ricetto di una fauna estinta, luoghi dove sono stati rinvenuti reperti di importante materiale biologico, identificabili in scheletri di orsospeleo, stambecchi, cervi, caprioli, cinghiali. Numerosi sono pure i ritrovamenti di materiale preistorico e protostorico effettuati all'imbocco delle cavità carsiche: Grotta delle monache, Grotta del prete, un'industria paleolitica di superficie che, oggetto di recente studio, descrive 67 manufatti litici di facies mustero - lavalloisiana. Traversate praticabili valicano zone scoscese, guadagnano sentieri panoramici, piacevoli erte superano forre e gole, comunicano gioie remote e sensazioni mutevoli dove la paura vertiginosa dell'abisso è vinta dall'ebbrezza dell'inedito. Fra queste montagne, romantiche e severe, "la dominatrice degli Uccelli nei più reconditi altissimi screpoli vi adatta il suo nido, e ogni anno rinnova gli allievi". "Sembra, che provvida sempre, ed intenta natura al bene di ciascun'essere abbia fra quelle roccie a bella posta architettato incavi adattissimi per ricovrare questi guerrieri volatili, che riunendo a forti pertiche di cinque, o sei piedi di lunghezza flessibili rami incrocicchiati, vi sovrappongono vari strati di erbe, e di minuti arbusti, onde rimanervi agiatamente ad educar la tenera prole".
La Valle ScapucciaLa Valle Scapuccia
 Risalendo la strada che guadagna il Castello di Genga, attraversato il borgo, la carrozzabile si inerpica dentro un panorama agreste, ordinato, contemplativo. Piccoli villaggi e colture tipiche dell'ambiente assembrano l'itinerario che in successione raggiunge una accentuata prominenza dove un declivio conduce al fondo valle. L'orizzonte senza spazi, assoggettato al luogo, attarda la vista in una forra naturale che un passaggio introduce nella montagna; una fatica proibita, una peripezia geografica con scorci immaginari, con sfumature chimeriche. L'ascesa, esortata dalla quiete silvestre, si disperde in uno spazio pletorico, conformato a tratti in una similitudine da amba africana.
Il Lago Fossi
 In una valle segreta, sottratta alla vista delle escursioni, si distende il lago Fossi che trae omonimia dal villaggio che lo segue. D'intorno le colline lo serrano senza opprimerlo e una quiete profonda, una pace silente lo custodiscono, compiaciute dell'oblio che governa il territorio. Il monte Predicatore riflette la sua ombra lontana nelle acque placide del lago appena increspate dalla brezza dei pini. Il torrente arresta il suo corso per affluire alla proda lacustre con acqua sorgiva scaturita nell'incavo del monte. Chi bene l'osserva, finisce per impossessarsene. Lo fa diventare una meditazione. Sul declivio delle colline si addensa una vegetazione spontanea e nelle brevi radure si sviluppano tipiche coltivazioni dell'ambiente che, nonostante la cura assidua, non incentivano l'impegno profuso per la scarsa fertilità del terreno. Casolari sparsi lasciano intravvedere i segni di una agricoltura tradizionale in grado comunque di provvedere ad ogni consentito traguardo. Essa rappresenta il prodigio di una natura ch'è sempre Il Lago Fossidisponibile a confrontarsi con se stessa, a consumare rivincite dopo rivincite in nome e per conto del mistero che nasconde. Trote salmonate, barbi, cavedani e gamberi trovano ricetto nelle acque incontaminate del lago e un'aria salubre, nutrita dal silenzio ovattato, conferisce all'oasi i contorni suggestivi di un idillio appassionato, l'affetto per "una grazia ricevuta". Un uomo straordinario che periodicamente torna a "contemplare" religiosamente il luogo nella dimora di una antica masseria, per suffragare i suoi attributi, ha voluto appellarla con la nuova e confacente denominazione di "Valle fe
L'Abazia di San Vittore
 E' il monastero benedettino più importante del nostro territorio, quello che ebbe maggior estensione di possessi fondiari e più ampia giurisdizione ecclesiastica e anche civile. Alcuni eruditi (Benedettoni, Bellenghi) accolsero la tradizione che fosse in origine un tempio romano, trasformato poi in chiesa cristiana; ma l'ipotesi non ha fondamento, sebbene l'esistenza di un abitato romano, dipendente dal vicinp municipio di Tufico, possa considerarsi accertata, ed è dimostrata dal primitivo titolo del monastero (S.Maria e S.Benedetto in fundo Victoriano), toponimo che potrebbe anche riferirsi al tempio di Jupiter Victor eretto dai vincitori dopo la battaglia di Sentino del 295 a.C.Chiesa e monastero sorsero nell'ultimo decennio del sec. X per iniziativa di un consorzio di feudatari laici, i quali nei primi decenni del secolo seguente lo resero autonomo ed in parte ad esso si sottomisero. Raggiunse la maggiore floridezza e potenza nel sec. XIII, quando ne dipendevano oltre quaranta chiese, castelli feudali, beni fondiari, nei territori di Fabriano, Genga, Sassoferrato, Roccacontrada. Decadde bel sec. XIV, soprattutto durante il governo e mondano dell'abbate Crescenzio figlio di Alberghetto I Chiavelli (1308-1348). Negli ultimi decenni del secolo fu quasi abbandonato dai monaci, i quali preferirono dimorare nel monastero dipendente di S.Biagio di Fabriano. Nel 1406 Chiavello Chiavelli, dopo aver avuto in affitto l'abazia e i beni, ne ottenne dal Pontefice la soppressione e l'aggregazione al monastero olivetano di S.Caterina di Fabriano; parte dei beni immobili fu assegnata a S.Biagio col titolo di abazia autonoma. RidottaL'Abazia di San Vittore a "grangia" rurale, divenne poi chiesa comparrocchiale di S.Sebastiano di Pierosara, con annesso cimitero, che fu tolto dalla Soprintendenza ai monumenti delle Marche. Niente fa pensare che la chiesa sia una ristrutturazione del tempio romano, ha tutti i caratteri di un edificio sacro medioevale. La Chiesa appare dopo i vari restauri effettuati in questo secolo un esemplare e genuino edificio romanico, che ha riferimenti chiari e linee architettoniche basilicali-paleocristiane, lombarde e bizantine. E' forse il monumento romanico più importante delle Marche (Sassi). La massa murario costruita con blocchi di travertino e materiale misto poggia solidamente sul suolo, la pianta è ideata nella più ammirabile semplicità, i corpi di fabbrica si allineano e reggono in un geometrismo di delicata armonia, la cupola si eleva con disinvolta eleganza e vivo slancio: tutti questi caratteri, uniti ad altri quali gli elementi decorativi, le lesene, le nicchiette, i capitelli, la copertura a volte e cupola anche se edificio a pianta quadrangolare, come questo di S.Vittore, rimandano direttamente all'architettura romanica. Le presenze di particolari connotazioni come l'evidenziarsi delle absidi, il risalto del tiburio con marcati riferimenti orientaleggianti possono proporre, a prima vista, una collocazione stilistica ibrida. Proprio in considerazione di questo intreccio il Serra afferma che "la significazione essenziale del monumento sta nella leggiadria e nella singolarità della pianta, improntata di grazia ritmica nel succedersi delle esedre che ne costituiscono il lineamento espressivo; nella snella eleganza della cupola, nella purità non contaminata della salda e ben costrutta compagine muraria. In sostanza all'interno essa s'avvale della cadenza lenta e suasiva della musicalità bizantina e l'arte nella massa esterna, delicata e vaga". All'interno così si presenta: "Quattro grandi colonne di travertino, sormontate da capitelli cubici, formano il quadrato centrale e ripartiscono il vano. Si determinano nove campate di cui otto a crociera, leggermente accentuate, disadorne; la mediana con cupola emisferica internamente, ottagona all'esterno. Il presbiterio è sopraelevato di due gradini nella parete prospicente all'ingresso, ivi sono tre esedre con semicatino poggiati su una cornice sorretta da mensole: la centrale con sedile, le laterali di analoga struttura come quella che si apre in ciascuna delle due fiancate. A sinistra, nello spigolo anteriore, si erge una torre cilindrica con gradini a chiocciola innestati in una massiccia colonna centrale, essi conducono al piano di copertura.
Il Ponte Romano Il Ponte Romano
 San Vittore delle Chiuse, che il fiume Sentino separe in due parti, è collegata insieme da un ponte romano, dell'età augustea, sul quale sorge una torre, edificata con conci litici e descritta come classica torre, edificata con conci litici e descritta come classica torre - testa di ponte. Non è da escludere che questa torre integrasse, quale difesa periferica, il sistema fortificato di Pierosara. E' provvista di un passaggio che, verso il monastero, presenta un arco a sesto acuto, mentre dall'altro lato è a tutto sesto. La torre è verosimilmente cimata di un terzo rispetto alla attuale altezza ed è provvista di ingresso dislocato al di sopra dell'arco a tutto sesto. L'accesso alla torre era a dislivello di alcuni metri rispetto al piano di campagna. A probabile delimitazione del piano di ingresso, rispetto al piano superiore, sta un cordone anch'esso in pietra. La pusterola è sormontata da un architrave, anziché essere ad arco come nella torre di Castelpetroso. La datazione di questo fortilizio può essere fatta risalire al XIII sec. Queste costruzioni monumentali, riassunte tutte sul luogo insieme al vicin o tempio romanico, sono davvero tante sino al punto da ridurre "l'arte in panorama".